Talleyrand e le Province

Gaetano Scognamiglio, Presidente, PROMO P.A. Fondazione

Talleyrand raccomandava ai suoi collaboratori soprattutto di guardarsi dallo zelo. Questa raccomandazione evidentemente non è stata seguita nel definire l'ipotesi di trasformazione delle Province, elaborata nel Decreto Monti, che appare dettata invece da una zelante acquiescenza ad un movimento di opinioni e di interessi che ha da tempo  individuato nella Provincia l’istituzione da sacrificare. In verità i cosiddetti costi della politica,  che giustificherebbero il  provvedimento, rappresentano per le Province meno dell'1% del totale della spesa corrente, ben poca cosa se paragonati a quelli di altre istituzioni.

Se si è arrivati a questo punto, le Province peraltro non sono esenti da responsabilità, prima delle quali quella di non aver saputo dimostrare per tempo la centralità del proprio ruolo, con una adeguata comunicazione. Cosi come non aver  governato  un processo di trasformazione per svolgere quel ruolo di tessitura territoriale che avrebbero potuto e dovuto ricoprire con maggior efficacia, anche se non mancano esempi virtuosi in questo ambito. Eppure esistevano margini per una ragionevole e opportuna riforma, che doveva però necessariamente coinvolgere gli altri livelli di governo per essere veramente incisiva nella riduzione degli apparati politici e che proprio per questo motivo non è stata fatta.

L'intervento del legislatore è invece stato demolitorio e settoriale e in questo sta la sua fragilità sia dal punto di vista industriale che da quello istituzionale.

Vediamolo innanzitutto dal punto di vista industriale, facendo cioè finta di trovarsi di fronte a delle aziende, le Province, che si vedono svuotate del proprio oggetto sociale da un provvedimento legislativo. L ‘effetto immediato sarà che queste "aziende" si metteranno in stand by. Nei prossimi mesi e fino al 31 dicembre 2012 non potranno elaborare  nessun nuovo programma che abbia un respiro  pluriennale, probabilmente  approveranno i bilanci con grande ritardo, col blocco totale degli investimenti programmati, mentre  i progetti in corso saranno ridimensionati entro i confini temporali annuali. Quasi sicuramente il personale, demotivato sapendo di lavorare in un'azienda che non ha futuro, penserà giustamente unicamente al proprio di futuro, cercando di capire dove finirà e quali prospettive ci possano essere dal punto di vista professionale e umano (si tratta di 57.000 persone per le quali si apre un futuro incerto e quasi sicuramente deprofessionalizzante). Risultato: un patrimonio di competenze e conoscenze che verrà sprecato.
Vediamo la cosa anche da un punto di vista più generale: queste aziende, le Province operano soprattutto nel settore stradale, dell’edilizia scolastica, dell'ambiente, del mercato del lavoro e della formazione professionale. In questi ambiti si sono consolidate professionalità, esperienze, conoscenze che saranno disperse perché  le relative funzioni  (e quindi ragionevolmente il personale), almeno teoricamente secondo la Legge,   dovranno essere ripartite prioritariamente fra i Comuni del territorio, il che è evidentemente impraticabile in quanto le competenze delle Province sono strutturalmente di livello sovracomunale. Pensiamo a una strada divisa per segmenti corrispondenti ai territori dei vari comuni che attraversa, ai quali sarebbe delegata la competenza relativa. L’effetto ovvio sarebbe il caos gestionale con enormi diseconomie di scala perché gli stessi Comuni si dovrebbero dotare di strutture tecniche che non hanno, oppure per risparmiare dovrebbero  creare un nuovo  ente di natura consortile (con i relativi costi) per affidare ad esempio lavori di manutenzione che hanno caratteristiche omogenee . L’impostazione del provvedimento evidentemente risente della stessa ideologia che a suo tempo affidò lo sportello unico ai comuni. Ci sono voluti anni per verificare che i comuni sotto una certa dimensione non hanno la possibilità di gestire determinati servizi. Succederà allora inevitabilmente che funzioni e personale verranno trasferiti con logiche diverse,  parte al Comune capoluogo o a quelli comunque di maggiori dimensioni, parte alle Regioni,  che  probabilmente dovranno creare agenzie locali ad hoc  per settori di attività.
È di tutta evidenza pertanto che dopo il 31 dicembre 2012 assisteremo a un caos  istituzionale con diverse allocazioni di competenze secondo le varie Regioni.
Il tutto per non parlare del problema dei problemi: il  passaggio delle competenze e del personale, dalla consegna delle pratiche in corso a enti che spesso non hanno le professionalità adeguate a trattarle, al trasferimento degli archivi, alla  riattribuzione dell’immenso patrimonio immobiliare e mobiliare delle Province, all’inserimento del personale provinciale nei nuovi ruoli con tutti i problemi connessi di inquadramento, di valutazione e di riorganizzazione conseguenti.
Processi  che normalmente richiedono non giorni, non settimane, non mesi, ma anni, con i relativi costi che nessuno ha calcolato e con disagi fortissimi per gli utenti.

Dall’altro  punto di vista, quello istituzionale, due sono gli aspetti da valutare:
a) non si capisce innanzitutto dove siano le premesse per intervenire con un Decreto Legge per modificare la natura di un Ente di rilevanza costituzionale. Siamo all’interno di un provvedimento di urgenza che fonda la sua validità sulla necessità di tagliare immediatamente alcuni costi di cui sia chiara l’evidenza,  per fronteggiare una difficile crisi finanziaria nazionale e internazionale. Ora nessun rapporto, nessuno studio, nessuna indagine ha dimostrato che le funzioni attualmente svolte dalle Province  possano essere svolte da altri soggetti con risparmi di spesa talmente evidenti  e immediati da giustificare la procedura d urgenza. Anzi si è verificato esattamente il contrario come è dimostrato in modo evidente dal fatto che non è stato possibile computare i presunti risparmi nel saldo complessivo della manovra;
b) senza entrare in tecnicismi giuridici, appare evidente che siamo di fronte a un sostanziale bypassamento delle procedure necessarie per modificare  la natura di un Ente  di rilevanza costituzionale. Infatti il disegno costituzionale viene surrettiziamente modificato, svuotando la Provincia di ogni ruolo, privandola delle funzioni amministrative proprie previste dalla Costituzione, attribuendole generiche funzioni di coordinamento al di fuori della lettera e dello spirito della Costituzione  stessa. Precedente pericoloso, che sarà invocato da chi vorrà nel futuro adottare le medesime scorciatoie, magari per obiettivi ancora più rilevanti. Il disegno costituzionale viene stravolto di riflesso anche per le Regioni che dovranno assorbire insieme alla maggior parte delle competenze buona parte del personale delle Province. Se questo fosse solo la metà ( il resto andrebbe ai Comuni e una piccola parte alle nuove Province) si tratterebbe di un numero di dipendenti pari al 75% di  quello attualmente in carico alle Regioni, che con una iniezione di personale così massiccia si trasformerebbero inevitabilmente e definitivamente in Enti a prevalenti funzioni gestionali, piuttosto che di programmazione. Infine paradossalmente le nuove Province, dai contorni indefiniti  e dalle competenze vaghe, questa volta sì probabilmente inutili, si attiveranno in contemporanea all’iter di modifica costituzionale per eliminarle. Ma non è finita qui perché nei prossimi mesi sarà ancora più evidente la confusione prodotta da norme così superficiali. Con buona pace degli utenti infatti potremmo trovarci di fronte contemporaneamente a quattro modelli di Province con relative competenze, a loro volta  differenti Regione per Regione:

  • quelle per le quali è intervenuta la Legge regionale entro il 31 dicembre 2012;
  • quelle delle Regioni che non hanno legiferato per tempo e che quindi in attesa dell’intervento sostitutivo dello Stato continueranno a funzionare come ora;
  • quelle delle Regioni a Statuto speciale;
  • quelle commissariate (anche qui problemi, considerato che l’art.141 invocato per giustificare il commissariamento non è  chiaramente applicabile  alla fattispecie).

Ma non si era parlato di semplificazioni? Quando i cittadini si accorgeranno di essere stati presi in giro allora il rischio è l’assalto al palazzo!

Come uscirne? Le Province possono fare ancora molto denunciando ai propri amministrati e al Paese le  incongruenze, gli errori e la superficialità di questa riforma, che va ripensata prima di tutto nell’interesse del Paese stesso e che deve riguardare contemporaneamente  in un disegno complessivo tutti i livelli di governo. Cominciando preferibilmente, per essere veramente credibile, dall’alto, con la riduzione del numero dei parlamentari e poi per li rami  passando con lo stesso criterio alle Province e ai Comuni. Ma non basta, è opportuna anche una ricognizione Provincia per Provincia e poi nazionale di tutti gli Enti e apparati che svolgono funzioni settoriali e che sfuggono a qualsiasi controllo. In questi spesso si annidano opacitá e costi occulti della politica che i cittadini hanno il diritto di conoscere.

Sarà forse una battaglia persa ma è necessario farla comunque, almeno a futura memoria,  perché la responsabilità dei danni che deriveranno da questa riforma non venga fatta ricadere sulla testa delle stesse Province e della loro classe dirigente, che ne sono invece vittime sacrificali.

 

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