Valutazioni sí, ma con quali presupposti?

In occasione dell’approvazione dello schema di decreto legislativo sulla riforma della Dirigenza (Consiglio dei Ministri del 25 agosto 2016), pubblichiamo ampio stralcio dell’articolo del Presidente di PROMO PA Gaetano Scognamiglio pubblicato sul Sole 24 Ore di lunedì 22 agosto.

L’approvazione ritardata del decreto legislativo sulla dirigenza sembra dovuta, fra le altre cause, al giudizio negativo dei destinatari del provvedimento sugli effetti penalizzanti delle valutazioni, che porterebbero nei casi più gravi al licenziamento.
Questa diffidenza sui meccanismi di valutazione attuali e su quelli futuri é in parte giustificata.
Ovviamente non é contestabile il fatto che la valutazione sia necessaria con i suoi corollari di premi/penalità.
Va però considerato un dato di fatto: fino ad oggi il sistema non ha funzionato e se é pur stato attivato nominalmente  dalla maggior parte delle amministrazioni ha  prodotto principalmente carta.
Ne é un'evidenza dal punto di vista oggettivo la corresponsione a pioggia dei premi di risultato e dal punto di vista soggettivo il pessimo giudizio che ne danno gli interessati nell'ultimo rapporto sulla "Pubblica amministrazione vista da chi la dirige", di Promo Pa Fondazione.

Il motivo del fallimento é presto detto: la legislazione in materia si é concentrata sul momento finale del processo di valutazione  e sui suoi effetti, tralasciando di  dare indicazioni  sui presupposti. Due in particolare sono le  condizioni  ex ante, necessarie perche si possa attivare un corretto processo di valutazione.
La prima é il fattore tempo: se si danno gli obiettivi a fine esercizio non si può valutare alcunché, né si può pretendere che i destinatari abbiano fiducia in un sistema siffatto.
L'esempio più eclatante é quello degli enti locali, nei quali per i continui rinvii per l'approvazione dei bilanci i piani esecutivi di gestione sono approvati nella maggior parte dei casi nella seconda metà dell'anno con conseguenti ritardi nell'attribuzione degli obiettivi ai dirigenti, che a quel punto o sono irrealizzabili o sono stati già in larga parte realizzati.

L'altra condizione é quella di definire nel processo di programmazione annuale, che porta alla definizione degli obiettivi, il rapporto fra politica ed amministrazione, che viene declinato in modo improprio e ipocrita sotto il mantra della cosiddetta separazione.
Tale separazione ha senso nella fase gestionale, invece  in quella della programmazione, piuttosto che di separare si tratta di integrare indirizzo politico e professionalità tecniche,  definendo in modo chiaro le relazioni e i rispettivi spazi decisionali.  
Se si  spacchetta il processo si individuano – anche a beneficio dei competenti organi di controllo – quali sono le responsabilità reciproche, spesso avvolte nella nebbia.
La prima fase, quella degli indirizzi politici, dovrà vedere ovviamente la prevalenza decisionale degli organi di governo.
Le proposte anche alternative  per realizzare quegli indirizzi dovranno essere invece tecnicamente avanzate dalla dirigenza.
Indirizzi e proposte devono incontrarsi poi in una fase successiva di confronto fisiologico dal quale deriveranno le decisioni di competenza  degli organi di governo che attribuiranno gli obiettivi alla dirigenza .
Tutto il processo dovrebbe essere tracciato per consentire di mettere a fuoco le rispettive responsabilità politiche e tecniche.

Solo su questi presupposti minimi può essere impostato il percorso di valutazione, che si baserà a questo punto su obiettivi di gestioni realistici e  responsabilizzanti.
Non va dimenticato infine, nell'attribuzione degli obiettivi, di valutare attentamente il peso degli adempimenti amministrativi, che gravano sempre di più sui dirigenti.


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