Smart working: le Linee guida sui POLA (Piano Organizzativo Lavoro Agile)

Le Linee guida sui POLA (Piano Organizzativo Lavoro Agile) sono state pubblicate dal Dipartimento della Funzione Pubblica, insieme ai template per la redazione del Piano.

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Lo Smart Working anche per la Pubblica Amministrazione è stata una scelta obbligata: uno smart working fai da te che il nostro legislatore ha ribattezzato lavoro agile. Ora però dobbiamo tutti migrare verso un sistema di lavoro più strutturato e in molti aspettano con ansia le linee guida per il POLA annunciate dalla Funzione Pubblica per la metà di dicembre da inserire nel piano della performance.

Per fortuna sono molti gli enti che si apprestano a strutturare lo smart working senza aspettare le linee guida, perché hanno compreso che aspettare che si ritorni alla normalità, non solo sotto l’aspetto sanitario che è ovviamente auspicabile, ma sotto l’aspetto organizzativo non è proprio il massimo delle aspirazioni dal momento che il modello organizzativo pre corona virus, presentava per dirla da ottimisti ampi spazi di miglioramento, almeno a giudicare dai tassi di produttività ferma da venti anni e dai livelli di burocrazia degno di attenzione di Amnesty International. Pur senza chiamarlo POLA, quindi, molti enti hanno provato a redigere un piano, a stendere uno spartito con il quale tutti possano prendere confidenza con le nuove partiture da suonare e in quale tonalità. Forse la vera novità è la giusta integrazione con il piano della performance e non poteva essere altrimenti.

Se teniamo a mente la definizione classica di performance cosi come è uscita dal D.Lgs. 150 del 2009 si intuisce subito che essa identifica tre principali dimensioni: chi realizza, che cosa e come.

La prima, la profondità individua il chi: il dettaglio del modello organizzativo al quale si vuole arrivare a misurare la performance – organizzativa ed individuale e tutte le sue sfumature. La seconda dimensione è l’ampiezza, il che cosa, ovvero i perimetri entro i quali si misura il risultato: input, output, outcome, qualità, costi, etc., perimetri che sono sempre più spesso ad assetto variabile dovendo recepire altri obiettivi che via via si sono aggiunti come la semplificazione, la spending review, la dematerializzazione, la trasparenza, l’anticorruzione, l’innovazione etc.

La terza dimensione, infine, è la modalità di realizzazione dei risultati, il come, ed è lì che si colloca il lavoro agile, il benessere organizzativo che oggi torna di moda ed il coinvolgimento degli stakeholder rafforzato dalla riforma Madia. L’introduzione del lavoro agile pertanto riaccende ora l’attenzione sul “come” vengono realizzati gli obiettivi ed è quanto mai logico che venga inserito nel piano della performance.

Ora la sfida per gli enti non è tanto adeguarsi o meno alle linee guida che ci auguriamo possano aiutare a mettere meglio a fuoco il tema, quanto valutare se un ente voglia cogliere o meno l’occasione per adottare un nuovo modello organizzativo non figlio di una riforma che cade come al solito dall’altro, ma delle esigenze operative raccolte dal basso in questo primo periodo di sperimentazione tenendo conto delle tante variabili in gioco: dagli spazi ed il co-working, alla cultura informatica, dalla formazione per una nuova leadership basata sulla fiducia reciproca alla gestione dei team virtuali, dai supporti e dalle piattaforme informatiche alla cyber security e alla sicurezza sul posto di lavoro che è ovviamente cambiato.

Non è ancora molto chiaro se il lavoro agile è solo una traduzione italiana dello smart working che in tutto il mondo risponde ad un preciso framework culturale, sociale e tecnico che ruota intorno al lavoratore, ma c’è da augurarsi che le linee guida della Funzione Pubblica per il lavoro agile siano a loro volta agili e non diventino l’ennesima lista di adempimenti per evitare la burocrazia dello smart working, cosa che non è accaduta con la burocrazia della trasparenza e dell’anticorruzione.


Luciano HinnaProfessore Università Roma Tor Vergata e Universitas Mercatorum