È nel periodo 1943-1946, quello che precede la nostra Costituzione, che si depositano «sul fondale della cultura politica nazionale alcuni orientamenti, valori, principi e pregiudizi di lunga durata». Questa è l’ipotesi che sta alla base di Quale democrazia per la Repubblica, il bel libro di Danilo Breschi (Luni Editrice, 2020) che – come chiarisce il sottotitolo – indaga sulle culture politiche nell’Italia della transizione. Periodo intenso che vede tornare alla luce intellettuali e combattenti emarginati, confinati o imprigionati durante il fascismo, alcuni dei quali tuttavia erano riusciti a mantenere contatti fra loro e ad alimentare discussioni e riflessioni per il futuro. È il periodo nel quale l’Autore individua la nascita del cosiddetto “intellettuale militante”, impegnato in prima persona nell’attività politica. Il successivo disincanto di alcuni, sia detto per inciso, non impedirà comunque alla sinistra negli anni successivi di essere il maggior riferimento della categoria, anche per l’attenzione che sempre vi pose Palmiro Togliatti.
Lo studio approfondisce in modo analitico come nacque il concetto di democrazia e quali caratteristiche le si vollero dare – a prescindere dalla soluzione istituzionale e alternativa fra repubblica e monarchia – nel periodo definito giustamente di transizione. Periodo nel quale il livello del dibattito era dato dagli uomini che vi prendevano parte, espressioni di valori e ideologie corposi, consolidati e condivisi, perciò tanto più rilevanti. È per quei motivi che i semi depositati allora hanno dato frutti per i decenni successivi. Viene da domandarsi – ancora per inciso – quali frutti daranno gli attuali “seminatori” paragonati ai loro predecessori del livello di un Togliatti, di un De Gasperi, di un Einaudi, per citare altrettante punte di iceberg.
L’Autore dimostra che l’idea di democrazia come fu poi codificata nella Costituzione fu il frutto di elaborazioni complesse e di posizioni contrapposte e contraddittorie in continua evoluzione, come dimostra la riflessione del 18 novembre del 1940 di Piero Calamandrei che nel suo diario scriveva che «uno dei più grandi errori del liberalismo e della democrazia è quello di credere che la diffusione delle idee di libertà… abbiano la virtù taumaturgica di creare uomini degne di esse. In realtà anche per queste occorre negli Stati liberali la dittatura di uno o pochi uomini…».
Nel lungo excursus storico l’Autore approfondisce il rapporto tra fascismo, liberalismo e democrazia, nonché, rispetto a quest’ultima, la scelta fra conservazione, rivoluzione o riforme, evidenziando come le coppie oppositive fascismo/antifascismo e comunismo/anticomunismo abbiano condizionato la nascita di un comune senso dello Stato con la persistenza di atteggiamenti anti-istituzionali diffusi, che hanno poi trovato degli sbocchi tragici nel terrorismo cresciuto in un clima di equidistanza diffusa nel giudicarlo.
In conclusione, è il fardello storico che ci portiamo dietro che ha condizionato e continua a condizionare anomalie e peculiarità di una certa cultura politica, impedendo tuttora l’assimilazione del nostro modello a quello delle altre liberaldemocrazie. Libro da leggere, anche per avere chiavi di interpretazione dell’oggi.
Gaetano Scognamiglio, Presidente PROMO PA Fondazione