L’individuazione e la scelta degli indicatori di risultato tra pubblico e privato

 
L’individuazione e la scelta degli indicatori di risultato tra pubblico e privato
di Giancarlo De Maria, Coordinatore Comitato Scientifico, ANDIGEL
 

 

Per motivi che possono apparire perfino ovvi ma che si ha a volte l’impressione che vengano trascurati nell’acritica convinzione che per migliorare le performance della nostra P.A. vadano adottati gli stessi strumenti del settore privato, l’individuazione degli indicatori di risultato di cui al D.Lgs. 150 va operata tenendo sempre ben presente la diversità che caratterizza i due ambiti.
Il pubblico non può puntare, infatti, esclusivamente sulla misurazione di quella variante del successo sul mercato che si effettua tramite la rilevazione del gradimento dell’utenza. Assumendo questo ad unico metro di giudizio, si negherebbe la più importante ed essenziale funzione della  politica: l’individuazione dell’interesse collettivo, al fine del suo più efficace ed efficiente perseguimento. Solo che l’interesse collettivo non sempre coincide con l’interesse di singole categorie di cittadini-utenti, cui ci si rivolge di volta in volta per raccoglierne la valutazione sui singoli servizi.  Quanto e come l’interesse pubblico viene perseguito è compito che si può tentare di  svolgere con efficacia, tramite la scelta di  indicatori specifici, sicuramente più numerosi e complessi di quelli propri dell’attività di customer satisfaction. Il grado di soddisfacimento dell’interesse collettivo coincide, concettualmente, con la  qualità dell’azione amministrativa; misurare quello significa valutare questa.
Naturalmente, cosa debba intendersi per interesse collettivo è domanda la cui risposta  è strettamente connessa alla diversità delle visioni politiche. Ogni parte politica ha, infatti, ragion d’essere proprio in relazione alle opinioni diverse in ordine sia alla natura dell’interesse collettivo, sia alle modalità del suo perseguimento. Per questo l’individuazione degli indicatori di risultato più idonei a valutare la qualità del’azione amministrativa, tra i tanti che possono essere associati ai diversi progetti, non può che spettare all’organo politico.
Mentre ai dirigenti spetta presentare all’organo politico il ventaglio degli indicatori tra cui operare la scelta; in altri termini, elencare tutte i possibili impatti di un determinato progetto, opera o modalità di erogazione di un servizio. In questa funzione del tutto finora trascurata, si dovrebbe sostanziare in  parte rilevante il ruolo dei dirigenti pubblici nonché la responsabilità che i dirigenti, autonomamente dalla politica, dovrebbero anche in Italia assumere nei confronti dei cittadini.
Per completezza di argomentazione va sottolineato come lo stesso settore privato,  premiando solo chi contribuisce a produrre maggiori profitti nell’immediato, ha oggi mostrato fragorosamente i limiti di una tale opzione: le cause della crisi mondiale attuale stanno a dimostrarlo (incentivi ai manager bancari che stipulavano mutui senza preoccuparsi della solvibilità del beneficiario) così come il disastro ecologico del Golfo del Messico (chiediamoci,infatti, per darci una scontata risposta, come saranno stati incentivati, e poi premiati, quei dirigenti della BP che, per risparmiare, hanno provocato un disastro mondiale).
Nella nostra Costituzione, non a caso, la libertà d’impresa trova un limite nell’interesse collettivo. Un principio perfino ovvio che dovrebbe essere basilare per qualsiasi democrazia e  che andrebbe tenuto ben presente anche dal privato imprenditore nell’adozione di misure incentivanti e di sistemi premianti. Almeno nel caso in cui i propri interessi siano legati a quelli dell’impresa per un periodo medio-lungo, poiché il non tener conto delle conseguenze nel medio e lungo periodo di un vantaggio immediato, si traduce normalmente in un danno per l’impresa stessa e, a volte, anche per l’intera collettività in cui l’impresa opera.
Nel pubblico, inseguire il privato su un terreno che ha già mostrato tutte le sue insidie, si traduce nel premiare chi produce l’utile immediato costituito dal consenso elettorale, trascurando le conseguenze future o immediate su altri interessi non altrettanto validamente rappresentati ma non per questo trascurabili. La soddisfazione degli utenti va considerata una condizione necessaria (e l’introduzione del concetto della sua “necessarietà” è indubbiamente un grande merito del 150),  ma assolutamente non sufficiente per fornire una valutazione di qualità dell’azione amministrativa.
 
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