Autonomia organizzativa dell’Ente Locale e limitazione della previsione della figura del Direttore Generale

 
Autonomia organizzativa dell’Ente Locale e limitazione della previsione della figura del Direttore Generale
di Giancarlo De Maria, Coordinatore Comitato Scientifico, ANDIGEL
 

 

Tra le misure introdotte dalle recenti disposizioni di legge (LL. 191/2009, 42/2010, 122/2010) per contenere la spesa pubblica e applicabili agli Enti locali, la prescritta soppressione del Direttore Generale nei Comuni con meno di 100.000 abitanti, appare quella maggiormente in contrasto con la riconosciuta autonomia degli enti locali. Infatti mentre le disposizioni relative alla riduzione dei Consiglieri e degli Assessori, al limite alle Circoscrizioni, alla soppressione del difensore civico, ecc. ledono sì l’autonomia locale, ma hanno un impatto relativo sull’organizzazione, la sussistenza o meno di una figura quale quella del DG è scelta strettamente riconducibile all’ambito di quell’ autonomia organizzativa degli Enti sancita dalla Costituzione, dalla Carta Europea delle Autonomie nonchè dalla stessa precedente legislazione nazionale in materia. Autonomia organizzativa che, va sempre ricordato, trova la sua motivazione nella necessità di consentire agli Enti la scelta degli strumenti più idonei al perseguimento dei propri fini ed al raggiungimento degli obiettivi programmati coi caratteri della massima efficienza ed efficacia. Tale discrezionalità è peraltro indispensabile in quanto strettamente connessa alle funzioni e alla natura stessa del nuovo Comune  nato dalla riforma del titolo V della Costituzione, chiamato ad individuare autonomamente gli obbiettivi da perseguire per dar efficace risposta ai bisogni del territorio e della collettività di riferimento.
Cercherò di elencare di seguito gli elementi maggiormente significativi dedotti dalla legge e dalla giurisprudenza a supporto della tesi enunciata.
La figura del Direttore Generale degli Enti Locali viene introdotta dalla legge n.127 del 1997. La citata legge aggiunge, allo scopo, un articolo, il 51 bis, all’art. 51 della legge 142/90. L’art. 51 della 142 è quello che fa esplicito riferimento all’autonomia organizzativa degli Enti, cosa che non può essere di certo considerata casuale, bensì frutto di un preciso orientamento del legislatore circa l’ambito in cui collocare una simile innovativa previsione. Significativo, in ordine alla volontà del legislatore di tutelare l’autonomia organizzativa degli Enti, che l’introduzione della figura del DG abbia carattere facoltativo, pur essendo ovvia la convinzione della sua utilità da parte del legislatore stesso (se così non fosse, infatti, non si capirebbe la motivazione sottesa alla sua introduzione nell’ordinamento). Ugualmente lesivo dell’autonomia organizzativa dei Comuni sarebbe stato, infatti, l’imporre questa figura come obbligatoria, alla stregua dell’imposizione dell’obbligatorietà della figura del Segretario, che permane anche dopo la soppressione della loro Agenzia.
 
Andiamo per ordine.
Art. 51 comma 1 della legge 142/90 come modificato dall’art.6 della stessa L.127/97
"1. I comuni e le province disciplinano con appositi regolamenti, in conformità con lo statuto, l’ordinamento generale degli uffici e dei servizi, in base a criteri di autonomia, funzionalità ed economicità di gestione, e secondo princìpi di professionalità e responsabilità. Nelle materie soggette a riserva di legge ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, la potestà regolamentare degli enti si esercita tenendo conto della contrattazione collettiva nazionale e comunque in modo da non determinarne disapplicazioni durante il periodo di vigenza. Nelle materie non riservate alla legge il comma 2-bis dell’articolo 2 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni e integrazioni, si applica anche ai regolamenti di cui al presente comma".
A questo articolo la legge 127/97, all’art. 6 comma 10 aggiunge il seguente articolo che introduce la figura del DG:
"Art. 51-bis. – (Direttore generale). – 1. Il sindaco nei comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti e il presidente della provincia, previa deliberazione della giunta comunale o provinciale, possono nominare un direttore generale, al di fuori della dotazione organica e con contratto a tempo determinato, e secondo criteri stabiliti dal regolamento di organizzazione degli uffici e dei servizi, che provvede ad attuare gli indirizzi e gli obiettivi stabiliti dagli organi di governo dell’ente, secondo le direttive impartite dal sindaco o dal presidente della provincia, e che sovrintende alla gestione dell’ente, perseguendo livelli ottimali di efficacia ed efficienza. Compete in particolare al direttore generale la predisposizione del piano dettagliato di obiettivi previsto dalla lettera a) del comma 2 dell’articolo 40 del decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77, nonchè la proposta di piano esecutivo di gestione previsto dall’articolo 11 del predetto decreto legislativo n. 77 del 1995. A tali fini, al direttore generale rispondono, nell’esercizio delle funzioni loro assegnate, i dirigenti dell’ente, ad eccezione del segretario del comune e della provincia".

L’art 51 bis della 142 come introdotto dalla L.127/97, viene poi integralmente recepito nel T.U. degli EE.LL. dlgs 267/2000 all’art 108, comma 1.

Le recenti proposte e disposizioni di legge hanno ridotto drasticamente la possibilità del ricorso a questa figura in maniera spesso contraddittoria. Infatti:
La legge 191/2009 (Finanziaria 2010) sopprimeva ovunque la figura del DG.
Legge 191/2009. Art.2 c.186: "In relazione alla riduzione del contributo ordinario di cui al c.183 i Comuni debbono altresì adottare le seguenti misure…. Lettera d) Soppressione della figura del Direttore Generale".
 
La legge 42/2010 la ripristinava ma solo nei Comuni con oltre 100.000 abitanti, prescrivendone nel contempo l’applicazione solo alla fine del mandato amministrativo.
Legge 42/2010: "…..alla lettera d) del comma 186 art.2 della legge 191/2009,sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: tranne che nei comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti".

La Carta delle Autonomie, approvata alla Camera e non ancora discussa al Senato (D.D.L. 3118) prevede che il DG possa permanere nei soli Comuni con oltre 100.000 abitanti, mentre in una sua bozza precedente il limite era fissato a 65.000. 
La stessa bozza della Carta  Autonomie, abrogando il comma 4 dell’art.108 del Testo Unico degli EE.LL. esclude che le funzioni di DG nei comuni minori possano essere esercitate dai Segretari.

Si veda a quest’ultimo proposito anche il parere 593/2010 della Corte dei Conti della Lombardia di cui si riporta uno stralcio: "…ciò premesso, secondo la Corte, sarebbe del tutto illogico ritenere che se da un lato è stata soppressa la facoltà di nominare un direttore generale esterno, la stessa norma possa essere aggirata attribuendo le stesse funzioni al segretario comunale che già collabora nell’amministrazione comunale. Né chiaramente, questi potrà ottenere una retribuzione o un emolumento aggiuntivo per tali funzioni, in quanto il divieto normativo sulla maggiore spesa “deriva da una disposizione finanziaria di coordinamento della finanza pubblica che si sostituisce automaticamente alle previsioni della contrattazione collettiva relativa ai segretari”.
Consente inoltre che il DG possa essere nominato da consorzi di Comuni la cui popolazione, sommata, superi i 100.000 abitanti
Nulla viene modificato, invece, per quanto riguarda la possibilità di nomina dei DG da parte delle Province.

Le funzioni che la legge affida ai DG e che permangono invariate rispetto a quanto previsto originariamente dalla 127/97 anche alla luce delle successive citate limitazioni di legge,  attengono in maniera indiscutibile all’organizzazione dell’Ente, cioè a quella sfera che la Carta Europea delle Autonomia locale (approvata dall’assemblea di Strasburgo il 15 ottobre 1985 e ratificata con legge 439/89, e da cui è poi discesa la L.142/90 e la previsione in essa contenuta dell’autonomia statutaria e regolamentare degli EE.LL.) e la stessa Costituzione italiana (art.117) affermano dover essere di esclusiva competenza degli Enti stessi in quanto liberi di individuare l’organizzazione dei propri apparati più funzionale al raggiungimento dei propri obbiettivi.
Va rilevato, infine, come disposizioni quali quella della parziale soppressione ope legis del DG che comprimono l’autonomia organizzativa degli EE.LL. si pongano in aperto contrasto con i contenuti della legge 42/2009 sul federalismo fiscale.

Articolo 6 L. 439/89 – Adeguamento delle strutture e dei mezzi amministrativi alle missioni delle collettività locali
"1. Senza pregiudizio di norme più generali emanate dalla legge, le collettività locali devono poter definire esse stesse le strutture amministrative interne di cui intendono dotarsi, per adeguarle alle loro esigenze specifiche in modo tale da consentire un’amministrazione efficace".
Art.117 Costituzione
"……… I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite".
Art. 119 Costituzione
"I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa".

La limitazione posta alla nomina del Direttore Generale è quindi un’aperta violazione di quanto statuito in sede Europea e prescritto dalla nostra Carta.
L’incostituzionalità di questa intrusione della legge in un ambito di stretta competenza degli Enti, è stata peraltro chiaramente stabilita dalla Corte Costituzionale quando è stata chiamata ad esprimersi in materia di autonomia organizzativa degli Enti.
In particolare la Sentenza  C.C. 417 del 2005, da ultimo, richiamando anche le precedenti Sentenze della stessa Consulta 36 e 390 del 2004, evidenzia come il Legislatore non possa imporre la fissazione di vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci di regioni ed enti locali non vertendosi  di principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica  e pertanto, ex art. 117, 3° comma  Cost.,  risulta lesa l’ autonomia finanziaria di spesa garantita dall’ art. 119 Cost.. Ciò in conformità all’orientamento giurisprudenziale che considera legittimi soltanto quei vincoli attinenti alle politiche di bilancio degli enti, ma posti con disciplina di principio e non implicante limiti all’ entità della singola voce di spesa.

Si riportano di seguito testualmente alcuni stralci delle sentenze citate.

Sentenza C.C. 417/2005
"…nella specie, le disposizioni censurate non fissano limiti generali al disavanzo o alla spesa corrente, ma stabiliscono limiti alle spese per studi e incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all’amministrazione, alle spese per missioni all’estero, rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni, nonché alle spese per l’acquisto di beni e servizi; vincoli che, riguardando singole voci di spesa, non costituiscono princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ma comportano una inammissibile ingerenza nell’autonomia degli enti quanto alla gestione della spesa.
Deve dunque essere dichiarata l’illegittimità costituzionale delle norme in questione, per contrasto con gli articoli 117, e 119 Cost. del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168 (Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191, nella parte in cui si riferisce alle Regioni e agli enti locali".
Sentenza C.C. 36/2004:
"…..perchè detti vincoli possano considerarsi rispettosi dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali debbono avere ad oggetto o l’entità del disavanzo di parte corrente oppure – ma solo in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale» – la crescita della spesa corrente degli enti autonomi; in altri termini, la legge statale può stabilire solo un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa".

Sentenza 390/2004

"….la previsione da parte della legge statale di limiti all’entità di una singola voce di spesa non può essere considerata un principio fondamentale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica, perché pone un precetto specifico e puntuale sull’entità della spesa e si risolve perciò «in una indebita invasione, da parte della legge statale, dell’area […] riservata alle autonomie regionali e degli enti locali, alle quali la legge statale può prescrivere criteri […] ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica) ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi".

Tracce dello stesso orientamento della Corte Costituzionale che censura l’intervento della legge nazionale non a motivo della fissazione di limiti di spesa agli Enti Locali (ammissibili) ma a motivo della prescrizione di specifiche modalità e misure da adottarsi per rispettare gli stessi, si ritrovano anche nelle sentenze  196 del 2004 e 95 del 2007 cui si fa rinvio.

 
Avvertenza: sono state citate nel corso dell’esposizione le leggi 42/2009 e 42/2010 nonché le leggi 191/2004 e 191/2009. Lo si sottolinea per evitare possibili confusioni durante la lettura del testo.


 
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