L’aggiornamento del piano triennale di prevenzione della corruzione

Santo Fabiano, Esperto di governance pubblica, Consulente Camera dei Deputati

 

Tra le numerose scadenze che incombono sulla vita amministrativa degli enti, vi è quella sancita nell’articolo 1, comma 8 della legge 190/2012, laddove si prevede che “l'organo di indirizzo politico, su proposta del responsabile individuato ai sensi del comma 7, entro il 31 gennaio di ogni anno, adotta il piano triennale di prevenzione della corruzione, curandone la trasmissione al Dipartimento della funzione pubblica.
In questa sede è ozioso tornare sul tema dell’organo competente, che inevitabilmente, in relazione alla scelta adottata da ogni ente, è lo stesso organo che ha adottato il piano la prima volta. Rimane invece aperta la questione relativa alla “nuova adozione”.
E’ evidente che, se si adotta una logica minimalista, trattandosi di un piano triennale, l’adozione annuale fa riferimento all’applicazione del piano nel periodo 2015/2017.
In verità, proprio in ragione delle attenzioni che il tema raccoglie e degli effetti ad esso connesso, sia in termini di immagine, sia in termini di prevenzione (anche come impatto organizzativo) non si può trascurare che si tratta di qualcosa di più di un adempimento.
Per comprendere la portata di ciò che viene richiesto alla nuova adozione è opportuno seguire l’evoluzione degli orientamenti dell’ANAC e in particolare lo schema di “relazione” prodotto che ogni ente ha utilizzato e pubblicato entro il 31 dicembre sul proprio sito istituzionale.
Può rivelarsi utile, infatti, dovendo procedere a una nuova adozione del piano triennale, rivisitarlo, proprio in relazione agli esiti che dovrà produrre e che dovranno essere riportati nella relazione di fine anno, per il 2015, pur nella consapevolezza che l’ANAC potrà modificarne la struttura. In ogni caso non è male adeguarsi, in questa circostanza, all’impostazione fornita all’Autorità.
Da ciò discende che la “nuova adozione” del piano, se si ha l’opportunità, il tempo e le risorse disponibili, si rivela quale occasione importante per rivederne la struttura. Non possiamo nascondere che i piani adottati, per buona parte, sono il frutto (necessario) di una frettolosa adozione e soprattutto, proprio perché concepiti nell’urgenza, risultano di difficile attuazione, sia perché complessi e di difficile attuazione, sia perché ricchi di buone intenzioni che non sempre hanno trovato attuazione.
Proprio la “ratio” di “piano” attribuita al documento, invece, dovrebbe portare verso la individuazione di azioni, tempi e ruoli, strettamente connessa con quanto richiesto dal legislatore e dall’Autorità, preferibilmente integrato con i sistemi di programmazione e controllo già utilizzati nell’ente (performance, controllo successivo, sistema di valutazione, ecc.)
Dalla lettura dell’ultimo schema di relazione prodotto dall’ANAC, si evince che le azioni di prevenzione della corruzione si articolano in tre diverse direzioni:

  • controlli sulle attività
  • controlli sugli atti
  • integrazione tra piani, attività e monitoraggio

Controlli sulle attività
sono tutte quelle iniziative che l’ente deve adottare e che sono elencate nello schema dell’ANAC sotto la voce “formazione del personale”, “rotazione del personale” “inconferibilità degli incarichi”, incompatibilità degli incarichi”, “tutela del whisteblowing”, “altre misure”, l’attività sanzionatoria e ogni qualvolta si richieda l’effettuazione di monitoraggi.
In quest’ambito è sufficiente che il piano, nella parte iniziale, preveda l’elencazione di tali adempimenti (che si dividono in “cadenza tempestiva” e “cadenza annuale” prescrivendo, a fianco di ciascuno:

  • modalità di attuazione dell’adempimento
  • soggetti che dovranno effettivamente realizzarlo
  • tempi di attuazione
  • modi e tempi della verifica
  • organo che effettua la verifica

Controlli sugli atti
Nonostante che il Piano nazionale anticorruzione attribuisca uno spazio notevole alla definizione delle aree a rischio, dall’esame dello schema di relazione di evince che le informazioni richieste dall’Autorità riguardano l’attività di effettuazione di controlli e la rilevazione di criticità emesse, all’interno delle aree, così come sono elencate nel Piano nazionale anticorruzione.
Da ciò discende l’opportunità di utilizzare le stesse aree di rischio del PNA, avendo l’accortezza (per ragioni di praticità), dovendo articolarle in “processi a rischio”, di astenersi dalla previsione di qualsivoglia attività dell’ente, ma prevedere, invece, a tal fine, i provvedimenti già elencati nella legge 90/2012, sia nel comma 16 (autorizzazioni, concessioni, appalti di servizi, ecc.) sia nel comma 53 (attività maggiormente esposte al rischio di infiltrazione mafiosa).
Se si adotta questa scelta, oltre a rispettare il dettato normativo che già individua i provvedimenti a rischio, si consente una effettiva “integrazione” tra l’attività di prevenzione della corruzione e il controllo successivo, proprio facendo coincidere le tipologie di atti da sottoporre a controllo e avendo cura che le “check list” del controllo contengano le “misure di prevenzione”.
Così facendo si avrà il vantaggio di assicurare, con una sola azione, sia gli adempimenti relativi al controllo, sia il richiesto monitoraggio periodico sugli atti, il cui esito, inevitabilmente tornerà utile ai fini della relazione sull’attività di prevenzione della corruzione.

Integrazione tra piani, attività e monitoraggio
E’ necessario che l’attenzione all’adempimento non risulti fuorviante rispetto a una questione fondamentale: ciò che viene previsto e pianificato, deve essere realizzati e rendicontato.
Da ciò discende l’esigenza che la pianificazione sia “sostenibile”, cioè che, benché alimentati dalle migliori intenzioni, non ci mettiamo nella condizione di definire un carico adempimentale che non potrà mai essere assicurato, con il rischio, persino, di ottenere l’effetto contrario, quello di non prendere in considerazione le misure e gli adempimenti previsti.
La stessa preoccupazione è avvertita dal legislatore quando prescrive un sistema di pianificazione integrato, caratterizzato da azioni idonee a conciliare la programmazione, la pianificazione, l’attività, il controllo e la rendicontazione, allo scopo di soddisfare le esigenze connesse, sia alla performance, sia alla prevenzione della corruzione, sia all’effettuazione dei controlli successivi, sia ancora alla valutazione.
In questo senso gli enti locali hanno una opportunità in più, rispetto agli altri enti, quella dei controlli successivi, prescritti dal D.L. 174/2012. Proprio nell’ottica della integrazione, è certamente quella la sede in cui concentrare le attività di “monitoraggio integrato” che sappiano conciliare in modo sistemico gli ambiti della correttezza amministrativa, con quelli della trasparenza e della prevenzione della corruzione.


Santo Fabiano affronterà il tema nel dettaglio nel seminario "L’aggiornamento e il monitoraggio del piano anticorruzione 2015: adempimenti, responsabilità e tracciabilità", in programma a Firenze il 17 e 18 giugno 2015.


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