La responsabilità derivante dal D.lgs 231/2001 per le società partecipate. Ambito di applicabilità, obblighi e sanzioni dopo la sentenza n.234/2011

Vincenzo Del Regno, Direttore Generale e Segretario Generale Comune di Prato

 

Il Decreto legislativo 08 giugno 2001, n.231, recante “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”, ha introdotto nell’ordinamento italiano un regime di responsabilità amministrativa a carico degli enti per alcune fattispecie di reato, commesse nell’interesse oppure a vantaggio degli stessi.
Tale responsabilità va ad aggiungersi a quella (penale) della persona fisica che ha commesso il reato.
L’art. 5 del decreto 231 prevede infatti la responsabilità dell’ente per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:
a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;
b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).

La società non risponde, per espressa previsione legislativa (art.5, comma 2), se  i soggetti indicati hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.
Il D.lgs 231, nell’introdurre il regime di responsabilità amministrativa dell’ente, ha altresì previsto una forma specifica di esonero da detta responsabilità per i reati commessi nell’interesse o a vantaggio dello stesso sia da soggetti in posizione apicale, sia da soggetti sottoposti all’altrui direzione.
In particolare, nel caso di reati commessi da “Soggetti Apicali”, l’art.6 del decreto prevede l’esonero da responsabilità qualora l’ente dimostri che:
• “l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi”;
• il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento è stato affidato ad un Organismo di Vigilanza dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;
• le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;
• non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’Organismo dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo.

Per i reati commessi dai soggetti di cui all’art.7 del decreto, l’ente può essere chiamato a rispondere solo qualora si accerti che “la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza”.
 L’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza non ricorre, tuttavia,  “se l’ente, prima della commissione del reato ha adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi”.
Pertanto, l’adozione e l’attuazione effettiva ed efficace di un modello di organizzazione idoneo costituiscono l’adempimento dei doveri di direzione e controllo e operano da esimente della responsabilità dell’ente.  
Peraltro, l’ente che non ha attuato modelli organizzativi idonei a prevenire i reati è anche un soggetto pericoloso nell’ottica cautelare, ovvero, può subire l’applicazione delle misure cautelari espressamente previste dagli artt.45 e seguenti del D.lgs 231 (sanzioni interdittive di cui all’art.9, comma 2; in luogo della misura cautelare interdittiva, il giudice può nominare un commissario giudiziale a norma dell’art.15, quando l’ente svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio per la collettività; ovvero quando l’interruzione dell’attività può provocare rilevanti ripercussioni sull’occupazione).

Quanto alla tipologia dei reati destinati a comportare il suddetto regime di responsabilità amministrativa a carico degli enti, il D.lgs 231, nel suo testo originario, si riferiva ad una serie di reati commessi nei rapporti con la Pubblica Amministrazione, quali:
–    malversazione a danno dello Stato (art. 316 bis c.p.);
–    indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316 ter c.p.);
–    truffa commessa a danno dello Stato o di altro Ente pubblico (art.640 bis c.p.);
–    frode informatica (art. 640 ter c.p.);
–    concussione (art.317 c.p.);
–    corruzione per un atto d’ufficio (art.318 c.p.);
–    corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (art.319 c.p.);
–    corruzione in atti giudiziari (art.319 ter c.p.);
–    corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio (art.320 c.p.);
–    istigazione alla corruzione (art.322 c.p.).

Il testo originario è stato integrato da successivi provvedimenti legislativi che hanno ampliato il novero degli illeciti la cui commissione può determinare la responsabilità amministrativa degli enti:
–    delitti informatici, introdotti dalla legge 18 marzo 2008, n.48;
–    reati di falsità in monete, in carte di pubblico credito e in valori di bollo, introdotti dall’art.6 della legge 23 novembre 2001, n.409;
–    reati in materia societaria, introdotti dal D.lgs 11 aprile 2002, n.61;
–    delitti aventi finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, introdotti dalla legge 14 gennaio 2003, n. 7;
–    delitti di pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili, introdotti dalla legge 09 febbraio 2006, n.7;
–    delitti contro la personalità individuale, introdotti dalla legge 11 agosto 2003, n.228;
–    reati di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato, previsti dalla legge 18 aprile 2005, n.62;
–    reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro, come previsti dall’art.300 del D.lgs 09 aprile 2008, n.81;
–    reati di ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, introdotti dal D.lgs 21 novembre 2007, n.231.

La legge n.94 del 15 luglio 2009 ha successivamente introdotto i delitti di criminalità organizzata, mentre la legge n.99 del 23 luglio 2009 ha previsto anche i delitti contro l’industria ed il commercio e i delitti in materia di violazione del diritto d’autore fra i reati rilevanti ai fini del D.lgs 231/2001.
La legge n. 116 del 03 agosto 2009, infine, ha introdotto fra i reati rilevanti anche l’induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’Autorità Giudiziaria.

Le sanzioni previste dal Decreto si suddividono in:
1) amministrative pecuniarie;
2) interdittive;
3) confisca;
4) pubblicazione della sentenza.

La sanzione amministrativa pecuniaria è disciplinata agli artt. 10 e seguenti del decreto e costituisce la sanzione “base” nei confronti dell’ente, che risponde con il suo patrimonio o con il fondo comune (art.27 “Responsabilità patrimoniale dell’ente”).
Il Giudice, nell’irrogare la sanzione pecuniaria, ha l’obbligo di procedere a due diverse e successive operazioni di apprezzamento.
In un primo momento, il Giudice deve determinare il numero delle quote (in misura non inferiore a 100, né superiore a 1000- art.10), tenendo conto “della gravità del fatto, del grado della responsabilità dell’ente nonché dell’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti”.
Dopodiché il Giudice determina il valore di ciascuna quota, da un minimo di Euro 258,00 ad un massimo di Euro 1549,00.
Tale importo è fissato “sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente allo scopo di assicurare l’efficacia della sanzione” (articoli 10 e 11).
Oltre a ciò, l’articolo 12 del decreto prevede una serie di casi in cui la sanzione pecuniaria viene ridotta (se l’autore del reato ha commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi e l’ente non ne ha ricavato un vantaggio, o ne ha ricavato un vantaggio minimo; se il danno patrimoniale cagionato è di particolare tenuità; se l’ente, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, ha risarcito integralmente il danno, ed ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso; se è stato adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi).
Le sanzioni interdittive previste sono le seguenti:
–    interdizione temporanea o definitiva dall’esercizio dell’attività aziendale;
–    sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;
–    divieto di contrattare con la pubblica amministrazione;
–    esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi e sussidi, e/o la revoca di quelli eventualmente già concessi;
–    divieto temporaneo o definitivo di pubblicizzare beni o servizi.

Le sanzioni interdittive possono essere comminate solo con riferimento ai reati per i quali sono espressamente previste, e solo quando ricorre almeno una delle condizioni indicate dall’art.13 del D.lgs 231/01, ovvero:
–    “l’Ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità ed il reato è stato commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all’altrui direzione quando, in questo caso, la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative”;
–    “in caso di reiterazione degli illeciti”.

In ogni caso, a norma del successivo art.17, l’applicazione delle sanzioni interdittive è esclusa quando l’ente abbia risarcito integralmente il danno ed eliminato le conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato; abbia altresì eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; l’ente abbia inoltre messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca.
Il legislatore si è inoltre preoccupato di precisare che l’interdizione dell’attività ha natura residuale rispetto alle altre sanzioni interdittive.
Infine, ai sensi dell’art.19, con la sentenza di condanna è sempre disposta la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato e fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede.

Dopo questi brevi cenni sul D.lgs 231/2001, è necessario andare ad analizzare le novità emerse per effetto della sentenza della Corte di Cassazione n. 234/2011, che ha esteso la portata applicativa dei precetti contenuti in tali disposizioni normative.
E’ necessario premettere che, a norma dell’art. 1, comma 3, del Decreto, le disposizioni ivi contenute non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici, nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.
La Suprema Corte, nella pronuncia citata, ha tuttavia avuto modo di chiarire che la natura pubblicistica di un ente è condizione necessaria ma non sufficiente per l’esonero dalla disciplina in questione; deve essere necessariamente presente anche la condizione dell’assenza di svolgimento di attività economica da parte dell’ente medesimo.
Nella fattispecie analizzata nella suindicata sentenza, il Tribunale del riesame aveva escluso l’applicabilità della disciplina in esame sulla base dell’avvenuto trasferimento di funzioni dall’ente territoriale Comune alla società d’ambito costituita in forma di SpA; proprio dal trasferimento delle funzioni dall’ente territoriale alla società d’ambito sarebbe derivata l’impossibilità di applicare la normativa in commento.
Sennonché tale ricostruzione non è stata condivisa dalla Cassazione, che ha sottolineato come la ratio dell’esenzione contenuta nell’art. 1 del Decreto sia quella di “…escludere dall’applicazione delle misure cautelari e delle sanzioni previste dal D.lgs 231/2001 enti non solo pubblici, ma che svolgano funzioni non economiche, istituzionalmente rilevanti, sotto il profilo dell’assetto costituzionale dello Stato amministrazione. In questo caso infatti, verrebbero in considerazione ragioni dirimenti che traggono la loro origine dalla necessità di evitare la sospensione di funzioni essenziali nel quadro degli equilibri dell’organizzazione costituzionale del paese”.
Di talché, anche alle S.p.A di enti pubblici che svolgono attività economica è applicabile la disciplina contenuta nella normativa in esame, a prescindere dalle ricadute che la loro attività può avere su beni costituzionalmente garantiti.  
Infatti, si legge nella sentenza, l’attribuzione di funzioni di rilevanza costituzionale quali sono riconosciute agli enti pubblici territoriali come i Comuni, non possono essere parimenti riconosciute a soggetti che hanno la struttura di società per azioni, in cui la funzione di realizzare un utile economico è comunque un dato caratterizzante la loro costituzione.
Diversamente opinando, precisa la Suprema Corte, si arriverebbe alla inaccettabile conclusione di escludere dall’ambito applicativo della normativa de qua un numero illimitato di enti operanti in settori in cui vengono in rilievo il diritto alla salute, all’ambiente, il diritto all’informazione ed alla sicurezza antinfortunistica, all’igiene del lavoro, alla tutela del patrimonio storico ed artistico, all’istruzione ed alla ricerca scientifica ecc…
Pertanto non esime dall’applicazione della legge il coinvolgimento nell’attività degli enti di valori costituzionalmente garantiti; l’attività economica svolta da tali organismi genera di per sé l’applicabilità dei precetti contenuti nel D.lgs 231.
Quindi, per concludere, si sottraggono all’applicazione della normativa in commento solo gli enti pubblici territoriali, quelli non economici, e gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale: ma  le società da essi partecipate sono sempre soggette alla legge 231, anche se personale ed attività provengono dall’ente locale.
Da ciò consegue l’obbligo di adeguarsi ai modelli organizzativi e gestionali previsti da tale normativa anche per le società partecipate dagli enti locali, che svolgono le funzioni pubbliche proprie degli enti di riferimento, con la conseguente sottoposizione delle stesse alla responsabilità amministrativa  ed alle pesanti sanzioni previste dal D.lgs 231.

Per completezza, è necessario segnalare anche le recenti novità introdotte dalla Cassazione Penale con la sentenza n. 15657 del 20 aprile 2011.
Attraverso tale pronuncia, infatti, la Suprema Corte, mutando il suo precedente orientamento, ha esteso la portata applicativa del decreto 231 anche alle imprese individuali, stabilendo, quindi, come unico requisito per l’applicazione del decreto 231 l’appartenenza alla categoria degli enti forniti di personalità giuridica, o di società ed associazioni anche prive di tale caratteristica.
La Corte di Cassazione, muovendo dal presupposto che l’impresa individuale debba essere assimilata ad una persona giuridica, ha esteso anche a tale tipologia di imprese l’applicabilità delle norme sulla responsabilità amministrativa degli enti, comportando anche nei loro confronti l’obbligo di adottare dei modelli organizzativi e gestionali tali da prevenire la commissione dei reati.
La scelta di conferire una più ampia portata all’art. 1 comma 2 del D.lvo 231, comprendendovi anche le imprese individuali, è operata, a detta della Suprema Corte, al fine di scongiurare il rischio di un vero e proprio vuoto normativo, il quale avrebbe delle “inevitabili ricadute sul piano costituzionale connesse ad una disparità di trattamento tra coloro che ricorrono a forme semplici di impresa e coloro che, per svolgere la propria attività, ricorrono a strutture ben più complesse ed articolate”.
Di talché, alla luce di tale pronuncia, solo l’adempimento degli obblighi e delle cautele previste dal D.lvo 231/2001 potrà impedire anche alle imprese individuali di essere assoggettate alle pesanti sanzioni previste dalla normativa in commento.

A questo punto, appare doveroso andare ad analizzare gli adempimenti prescritti da tale normativa.
Infatti, come già sopra evidenziato, il Decreto Legislativo 231/2001 prevede, agli articoli 6 e 7, quale forma di esonero dalla responsabilità per l’ente, l’aver adottato ed efficacemente attuato dei “Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo” idonei a prevenire la realizzazione degli illeciti penali.
Pertanto, l’ente non risponderà dei reati commessi, dai Soggetti Apicali o dai soggetti sottoposti alla direzione o vigilanza dei Soggetti Apicali, se prova che:
a) ha avviato un adeguato processo di valutazione dei rischi;
b) ha adottato ed applicato un adeguato Modello con connesso Codice Etico;
c) ha previsto un sistema sanzionatorio per la violazione delle norme del codice etico, nonché delle procedure previste dal Modello stesso;
d) ha istituito un Organismo di Vigilanza (OdV) con compiti, requisiti e poteri come richiesto dal D. Lgs. 231/2001;
e) l’OdV non è colpevole di omessa o insufficiente vigilanza;
f) l’autore del reato ha agito eludendo fraudolentemente le disposizioni del Modello.

Da ciò consegue l’importanza, anche per le spa comunali, di adottare ed attuare un efficace modello organizzativo e gestionale della propria attività.
Infatti, nell’intento del legislatore, il Modello organizzativo che deve essere predisposto dagli enti, persegue innanzitutto l’obiettivo di configurare un sistema strutturato ed organico di procedure e di attività di controllo, volto a prevenire la commissione di condotte che possano integrare i reati contemplati dal Decreto.
Attraverso l’individuazione delle attività esposte al rischio di reato, la loro conseguente proceduralizzazione e la previsione di un adeguato impianto sanzionatorio, si vuole, infatti, da un lato, determinare la piena consapevolezza in tutti coloro che operano in nome e per conto dell’ente di poter incorrere in un illecito passibile di sanzione (illecito la cui commissione è fortemente censurata dalla società, in quanto sempre contraria ai suoi interessi anche quando, apparentemente, foriera di un vantaggio economico immediato); dall’altro, grazie ad un monitoraggio costante dell’attività, consentire all’ente di intervenire tempestivamente per prevenire o contrastare la commissione dei reati stessi.
Pertanto,  il Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo deve essere  strutturato in maniera tale da far sì che, per un verso, si possa giungere alla sua concreta applicazione; per altro verso, che l’esimente della responsabilità dell’ente possa essere addotta in caso di commissione dei reati.
Per pervenire a questo risultato finale, i modelli devono essere realizzati con le seguenti modalità (tenendo conto delle indicazioni contenute nello stesso art.6 D.lgs 231):
1) Mappatura dei Rischi: consiste nell’analisi del contesto aziendale, dei processi e delle prassi, per evidenziare in quale area/settore di attività aziendale e secondo quali modalità si possono verificare eventi pregiudizievoli per gli obiettivi indicati dal Decreto; in particolare pare opportuno procedere per ogni area a rischio alla descrizione: dell’area operativa e delle sue prerogative aziendali, delle funzioni aziendali operanti nell’area e dei loro compiti e responsabilità, delle procedure seguite all’interno dell’area per il suo corretto funzionamento, dei controlli attualmente operanti nell’area stessa.
L’analisi condotta in questa fase costituisce la fase preliminare alla progettazione delle misure preventive.
2) Progettazione del Sistema di Controllo (c.d. protocolli interni): si attua mediante valutazione del “sistema di governo” esistente all’interno dell’Azienda in termini di capacità di contrastare/ridurre efficacemente i rischi identificati ed operare l’eventuale adeguamento del sistema stesso.
Il D.Lgs. 231/2001 precisa che il sistema di controlli preventivi deve essere tale da garantire la riduzione ad un “livello accettabile” dei rischi di commissione dei reati e, quindi, tale da non poter essere aggirato se non fraudolentemente.
A fronte di ciò devono essere definiti specifici protocolli, valutati sulla base di principi di controllo e volti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni della società in relazione ai reati da prevenire, che devono essere adattati alla realtà aziendale di riferimento.
3) Individuazione delle modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;
4) Previsione degli obblighi di informazione verso un Organismo di Vigilanza Interno: consiste nell’istituire un organo di controllo interno posto a monitorare e verificare il funzionamento e l’osservanza del Modello, nonché, curarne l’eventuale aggiornamento;
5) Definizione di un appropriato sistema disciplinare e sanzionatorio: nel caso di mancato rispetto delle disposizioni previste dal Modello, nei confronti dell’eventuale autore del reato che abbia agito eludendo fraudolentemente le disposizioni del Modello.

Sono soggetti al sistema sanzionatorio e disciplinare, tutti i lavoratori dipendenti, gli amministratori, i collaboratori, ovvero tutti coloro che abbiano rapporti contrattuali con la società.
Il Modello previsto dal Decreto si può, quindi, definire come un complesso organico di principi, regole, disposizioni, schemi organizzativi e connessi compiti e responsabilità, funzionale alla realizzazione ed alla diligente gestione di un sistema di controllo e monitoraggio delle attività sensibili, al fine della prevenzione della commissione, anche tentata, dei reati previsti dal D. Lgs. 231/2001.

In particolare, ogni Modello, per raggiungere tali obiettivi deve prevedere al suo interno:
1) un Codice etico, in cui sono rappresentati i principi generali (trasparenza, correttezza, lealtà) cui si ispira lo svolgimento e la conduzione degli affari, ed in cui l’ente valuta, con riferimento ad ogni singola fattispecie di reato a cui si applica il decreto 231, quale sia il rischio specifico di commettere quel determinato reato, introducendo conseguentemente dei principi etici ad hoc;
2) un Sistema di controllo interno, ossia l’insieme degli “strumenti” volti a fornire una ragionevole garanzia in ordine al raggiungimento degli obiettivi di efficienza e di efficacia operativa, affidabilità delle informazioni finanziarie e gestionali, rispetto delle leggi e dei regolamenti, nonché salvaguardia del patrimonio sociale anche contro possibili frodi. Il sistema di controllo interno si fonda e si qualifica su alcuni principi generali, appositamente definiti nell’ambito del Modello Organizzativo il cui campo di applicazione si estende trasversalmente a tutti i diversi livelli organizzativi;
3) delle Linee di condotta, che introducono regole specifiche al fine di evitare la costituzione di situazioni ambientali favorevoli alla commissione di reati in genere e tra questi in particolare dei reati ex D.Lgs. 231/2001. Si sostanziano in una declinazione operativa di quanto espresso dai principi del Codice Etico;
4) degli Schemi di controllo interno, che devono essere elaborati per tutti i processi operativi ad alto e medio rischio e per i processi strumentali. Tali schemi presentano un’analoga struttura, che si sostanzia in un complesso di regole volte ad individuare le principali fasi di ogni processo, i reati che possono essere commessi in relazione ai singoli processi, le specifiche attività di controllo per prevenire ragionevolmente i correlativi rischi di reato, nonché appositi flussi informativi verso l’Organismo di Vigilanza al fine di evidenziare situazioni di eventuale inosservanza delle procedure stabilite nei modelli di organizzazione.

Il Modello generalmente adottato da parte degli enti è suddiviso in una “Parte Generale” che contiene i principi generali del Modulo e tratta del funzionamento dell’organismo di vigilanza e del sistema sanzionatorio; ed in una “Parte Speciale” in cui vengono definite le specifiche aree di rischio e le regole di condotta da adottare.

Inoltre, l’art. 6 lett. B) del D. Lgs. n. 231/2001 stabilisce espressamente che l’ente deve anche provvedere alla nomina di un apposito Organismo di Vigilanza, dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, preposto a vigilare sul funzionamento e sull’osservanza del Modello stesso curandone altresì il costante aggiornamento.
L’affidamento di detti compiti all’Organismo ed, ovviamente, il corretto ed efficace svolgimento degli stessi sono, dunque, presupposti indispensabili per l’esonero dalla responsabilità, sia che il reato sia stato commesso dai soggetti “apicali” (espressamente contemplati dall’art. 6), che dai soggetti sottoposti all’altrui direzione (di cui all’art. 7).
L’art. 7, co. 4, ribadisce poi che l’efficace attuazione del Modello richiede, oltre all’istituzione di un sistema disciplinare, una sua verifica periodica, evidentemente da parte dell’organismo a ciò deputato.
Da quanto sopra richiamato, si rileva dunque l’importanza del ruolo dell’Organismo, nonché la complessità e l’onerosità dei compiti che esso deve svolgere.
Per concludere, quindi, nel caso di commissione di reati all’interno dell’ente, la prova dell’efficace attuazione del modello, da un lato- attraverso l’adozione di procedure volte a prevenire la realizzazione di condotte criminose e la costante vigilanza di un Organismo dell’ente preposto a tale attività- e dell’elusione fraudolenta dello stesso, dall’altro, costituisce per l’ente un’esimente, ossia motivo di esonero da responsabilità in relazione a quel fatto di reato accertato.   
 

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