Come appalta la PA. Il 22 marzo a Roma la presentazione del Rapporto curato da PROMO P.A. Fondazione

 

Come appalta la PA.   
Il 22 marzo a Roma la presentazione del Rapporto curato da PROMO P.A. Fondazione: complessità delle regole e rischi amministrativi mettono in secondo piano i risultati. Fra i rimedi, l’aggiornamento permanente degli addetti

Annalisa Giachi, Responsabile Ricerche, PROMO P.A. Fondazione

Nell’ultimo biennio il settore dei lavori pubblici ha subito  più degli altri agli effetti della crisi economica che ha investito tutta l’Europa e il nostro Paese in particolare. Secondo la recente relazione del presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino , infatti, la spesa in conto capitale degli enti locali è diminuita mediamente di circa il 19% rispetto al 2009, con effetti molto marcati per Regioni (-16,6%) e Province (-12,8%). In particolare a metà 2012, si è assistito ad un forte ridimensionamento della domanda aggregata che ha raggiunto il -23% nel settore delle costruzioni, come ben messo in evidenza dall’Ance.
In questo contesto non semplice si inserisce il Rapporto Come Appalta la PA, che sarà presentato a Roma il prossimo 22 marzo e che ha l’ambizione di ricostruire a livello nazionale l’intero processo di approvvigionamento di lavori individuandone, dal punto di vista dei dirigenti degli uffici pubblici competenti, le criticità, le aspettative, gli ambiti di miglioramento. Il Rapporto si caratterizza per due scelte metodologiche precise:
1)    la raccolta delle percezioni e del punto di vista specifico degli operatori della PA, cioè degli ingeneri capo e di chi, all’interno degli uffici, gestisce il processo di gara;
2)    la segmentazione del mondo pubblico tra PA in senso stretto e Aziende partecipate.

Entrambi gli aspetti si sono rivelati strategici per cogliere il sentiment effettivo degli operatori e per provare a ricostruire l’estrema eterogeneità di comportamenti e atteggiamenti nel mondo PA, che ha al suo interno situazioni molto diverse tra di loro.
Nella logica di considerare il processo di affidamento di lavori pubblici una vera e propria filiera  e provando a sintetizzare le percezioni che i dirigenti degli uffici contattati hanno espresso possiamo isolare alcune questioni di fondo:

1.    gli obiettivi strategici ritenuti più rilevanti dai dirigenti degli uffici (valutazione pari a 8 in una scala 0-10) riguardano principalmente la riduzione dei contenziosi e la trasparenza degli appalti: emerge un forte disallineamento all’interno dell’Ente tra chi definisce e chi attua le scelte strategiche in materia di opere; inoltre la complessità e la lunghezza delle procedure fanno si che i responsabili degli uffici perdano di vista “l’output finale” e si concentrino sul solo obiettivo di rispettare le procedure per evitare contenziosi;
2.    l’analisi della domanda e l’aggregazione dei fabbisogni di approvvigionamento avviene, in oltre il 60% degli uffici contattati, in maniera sufficientemente organizzata e standardizzata e, grazie al processo di pianificazione che porta alla definizione del Piano triennale, si registra per i lavori un livello di frammentazione molto minore rispetto al settore dei beni e dei servizi;
3.    nella fase di progettazione cominciano a verificarsi le prime criticità: man mano che si passa dal progetto preliminare a quello definitivo e esecutivo, aumenta il ricorso ai progettisti e consulenti esterni (in questa direzione si esprime il 56% dei rispondenti), pur in presenza di uffici con organici di tutto rispetto, con 7-8 funzionari in media per ufficio. Si da avvio ad un processo di dialogo e interazione generalmente insoddisfacente per entrambe le parti, per gli Enti, che hanno scarso controllo sulle fasi esternalizzate e per i consulenti esterni che non ricevono dalla PA le indicazioni e il supporto necessario per operare. E’ evidente che il tema qui non è decidere se affidare o meno alcune fasi di progettazione all’esterno dell’Ente ma instaurare un dialogo proficuo e “paritario” tra gli attori coinvolti in cui siano chiare le responsabilità e le competenze di ciascuno;
4.    la selezione preventiva dei fornitori, ove applicabile, avviene in maniera destrutturata e con metodologie del tutto inefficaci: la mancanza di albi fornitori nel 48% delle stazioni appaltanti contattate, una gestione tradizionale  degli albi laddove esistono (con uno scarsissimo ricorso alle tecnologie), una “non gestione” del parco fornitori (senza meccanismi di rotazione e aggiornamento dati), condiziona finanche il processo di gara e non pone le stazioni appaltanti nella condizione di avere un quadro chiaro dei fornitori;
5.    Per quanto riguarda la procedura di scelta del contraente per tutti i contratti, a prescindere dalla classe di importo, il ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione si conferma la più utilizzata, in termini di incidenza sul numero di contratti aggiudicati (45%). Focalizzando l’attenzione sulle sole procedure di importo superiore a 150.00 euro  il criterio di aggiudicazione più utilizzato dalle stazioni appaltanti risulta inoltre essere quello del massimo ribasso, per l’87% dei contratti. Questa scelta evidenzia una insufficiente focalizzazione  sugli aspetti tecnico/ qualitativi,  che rappresentano un rischio nel caso di interventi importanti e complessi. Sarebbe utile  approfondire le ragioni e le conseguenze effettive di tale scelta e verificare la possibilità di superare eventuali resistenze all’utilizzo – ad esempio – dell’offerta economicamente più vantaggiosa;
6.    la tipologia di appalto utilizzata dal 90% degli uffici contattati è l’appalto di sola esecuzione: rispetto all’appalto integrato vi è la consapevolezza tra i dirigenti che esso possa garantire risultati migliori in termini di qualità della fornitura, ma al tempo stesso la complessità della procedura e i tempi lunghi di gestione la rendono ancora una tipologia minore riservata alle grandi opere;
7.    il partenariato pubblico privato (PPP) e il progect financing (PF)sono ancora oggi scarsamente utilizzato, nonostante i tentativi del legislatore di semplificarne e promuoverne l’utilizzo.  Le motivazioni sono di varia natura, dall’eccessiva complessità burocratica e amministrativa ad un sistema di regole non certe nell’interazione tra pubblico e privato. E’ un problema di non poco conto, data la crescente scarsità delle risorse pubbliche da destinare alle grandi opere e soprattutto considerando il disegno politico-strategico, fino ad oggi rimasto inattuato, di aumentare l’impiego di capitali privati nella realizzazione di opere pubbliche;
8.    nella fase di gestione del contratto, la criticità maggiore riguarda le varianti in corso d’opera, che incidono in media per il 36% sul numero totale di lavori e per il 15% sul totale degli importi. Tali varianti sono ampiamente diffuse e direttamente correlate al tipo di appalto (sola esecuzione), al tipo di procedura scelta (massimo ribasso) e al volume trattato (importi più alti);
9.    una volta definito il contratto, è cruciale la fase di monitoraggio e controllo delle forniture. Gli strumenti di monitoraggio sono diffusi nel 54% dei rispondenti, ma riguardano essenzialmente la trasparenza e la regolarità delle procedure e interessano la quasi totalità dei contratti. Si tratta dunque di un monitoraggio più procedurale che sostanziale, rivolto essenzialmente a garantire il rispetto delle norme più che la qualità della fornitura.

Questi 9 snodi critici sono a loro volta collegati alla possibilità di rendere più “attrattivo” il lavoro del direttore approvvigionamenti, attraverso un processo virtuoso che, responsabilizzando gli individui, ne riconosce al tempo stesso il merito e ne valorizza i risultati conseguiti. Su questo aspetto, formazione, qualificazione delle competenze, recupero del “prestigio” della funzione diventano parole chiave per il rilancio delle professionalità esistenti all’interno degli Enti.

 


Riproduzione riservata

Per altri articoli di approfondimento clicca qui