Non solo Pokemon. La “realtà aumentata” può aumentare di molto anche l’impatto della comunicazione di beni e servizi pubblici

di Sergio Talamo
 

Le cronache di questi tempi, a dir poco convulse, suggeriscono vari motivi di riflessione in cui le preoccupazioni si mischiano agli auspici, i pericoli alle opportunità. Ciò vale per gli Stati intesi come entità politiche ma anche per gli Stati intesi come apparati e quindi come amministrazioni. Al centro di ogni evento si afferma un fattore nuovo: la suggestione della “realtà aumentata”. In estrema sintesi, si tratta della sovrapposizione di informazioni aggiuntive e virtuali (immagini, testi, suoni, dati geolocalizzati ecc.) alla realtà effettiva percepita dall’utente. Ciò avviene attraverso smartphone o tablet, ma sono in arrivo ulteriori vettori. Qualche tempo fa Google lanciò i “google glass”, occhiali che riproducono uno schermo da 25 pollici a un metro e mezzo di distanza dall’utente e che permettono, con un tocco o un comando vocale – “okay, glass!” – di fare foto e video, mandare messaggi ed email, fare ricerche su internet, consultare mappe e accedere a filmati che aumentano la percezione dell’oggetto reale inquadrato dallo sguardo. I google glass non hanno sfondato sul mercato, ma si studiano i suoi usi in altri ambiti, per esempio in medicina o nel disaster management. E comunque Google (così come Apple e Microsoft) si prepara a nuove imprese di realtà aumentata su mobile.

Film fantascientifici ormai trascinati nella realtà? Il punto-chiave è questo: le nuove tecnologie raggiungibili via device mobile inducono interessi ed emozioni che non ti “aspettano”, come fino a ieri avveniva con uno schermo tv o un giornale, ma ti accompagnano ovunque tu vada e persino ti “inseguono”. Il risultato è una mole di stimoli che attrae e conquista un numero sempre maggiore di persone, con l’effetto collaterale che la gran parte di esse non riesce ad arginarli e spesso neppure a controllarli. Se ne discute molto, in questi giorni, a proposito dell’app di Nintendo Pokemon Go, la più scaricata di sempre (su Apple 21 milioni di download in una settimana). I giocatori, grazie al GPS, “vedono” nella realtà – per strada o in un parco – mostriciattoli da catturare con lo smartphone e poi allenare per future avvincenti battaglie. Per molti osservatori si tratta di una deriva individualista: le frotte di uomini e donne che puntano un pokemon in realtà si rinchiuderebbero in un bunker sempre più isolato dal mondo esterno, con la caratteristica “sindrome da sguardo basso dei digitambuli”, secondo l’arguta definizione di Michele Serra. Uscire da questa condizione, osserva Gianni Dominici su FPAnet, “dipende da noi, come singoli e come paese, nel momento in cui riusciremo a diventare non solo consumatori di tecnologia e riusciremo a porre le condizioni per favorire la creatività e l’imprenditorialità digitale”, senza lasciare ai soli Pokemon la tecnologia della realtà aumentata.

Un’altra angolazione interessante è quella giornalistica. La suggestione delle immagini ha avuto effetti determinanti in un evento che in passato sarebbe stato deciso solo dalle armi: il fallito golpe turco. Michele Mezza, giornalista esperto di digitale, osserva come “mentre i golpisti stavano occupando i locali della Tv di Stato, pensando di chiudere per sempre la possibilità al gruppo del premier di mobilitare i propri fedeli, con Skype e il suo smartphone Erdogan trovava il modo di spingere nelle strade i suoi supporters. Un effetto amplificato dalle molteplici dirette televisive che dalle strade di Istanbul e Ankara si offrivano alle televisioni di tutto il mondo via Periscope… Il video ha battuto la forza. E la forza senza video non regge”. Serve un nuovo giornalismo per raccontare una politica che mobilita gli animi con mezzi ben diversi dal passato.

Nella Pubblica Amministrazione il dibattito non sembra essersi ancora davvero aperto. Un po’ come accade per i social media, le innovazioni digitali che animano la comunicazione globale, l’informazione e il mercato – dalle news alle utilities, fino al puro gioco – entrano solo sporadicamente nelle politiche pubbliche. Eppure, quando lo fanno, producono un indiscutibile valore aggiunto. Vantaggi già noti a tutti sono quelli relativi agli spostamenti, facilitati dalle app che utilizzando la geolocalizzazione e la navigazione satellitare forniscono mappe, informazioni sul traffico e indicazioni sui percorsi stradali; o quelli legati alla visualizzazione di immagini, nella compravendita di immobili o nella selezione di un hotel o di una spa per una vacanza. Ma prendiamo il caso, squisitamente pubblico, dei beni culturali. L’Italia è un paese dalle mille attrazioni, un “viaggio nella bellezza” come recita lo spot del MIBACT. E’ tuttavia evidente la differenza fra proporre una comune visita in un museo, sia pure impreziosita dalla cornice di una notte estiva stellata, e mettere nel pacchetto, al contrario, un’esperienza sensoriale che attinge alle potenzialità della realtà aumentata. Basti pensare al “viaggio” che a Roma è possibile compiere nel Foro di Augusto e nel Foro di Cesare. Seduti su una gradinata, nel primo caso, o camminando fra le rovine, nel secondo, quei luoghi incantevoli vengono “visti” come erano due millenni fa, grazie alle proiezioni in 3D e alla voce-guida di Piero Angela da ascoltare con una comune cuffia. Il risultato è un’esperienza che attiva davvero tutti i sensi: gli “oggetti” aggiunti al mondo reale dilatano non solo la vista o l’udito ma soprattutto l’immaginazione e l’emozione, permettendo di condividere un legame di continuità e “appartenenza” al passato che è in definitiva il vero tesoro delle civiltà antiche. Ed anche alcuni musei stanno sperimentando dei percorsi interattivi in cui basta puntare la fotocamera dello smartphone su un pannello per accedere a modelli 3D, filmati informativi o anche giochi. Va anche detto che la user experience garantita da queste applicazioni è molto semplice, visto che puntare la fotocamera del mobile è persino più immediato che usare il Qr Code, cioè il quadratino nero da catturare con lo smartphone contenente un codice a barre che rimanda a informazioni o immagini web.

Fra le best practices, si veda la “caccia ai tesori” di Mantova, capitale della cultura 2016, organizzata da Fabbricadigitale e patrocinata dal Comune: una fusione di cultura e gioco che ha coinvolto 350 persone, suscitando un interesse e una partecipazione molto promettenti. In pratica, si è trattato di un percorso fisico-digitale imperniato proprio sulla realtà aumentata. Con l’app Phygital, gratuita sia su Apple sia su Android, singoli, gruppi e famiglie sono stati coinvolti in una “caccia” in sette tappe alle ricchezze archeologiche della città. L’app foriniva indicazioni che guidavano i partecipanti attraverso i luoghi più famosi e gli angoli nascosti: non appena risolto un indovinello, l'applicazione rivelava ai concorrenti la presenza di un altro tesoro storico, artistico o culturale e svelava l'indizio successivo. La conclusione è stata la premiazione in piazza dei 10 vincitori, cioè coloro che hanno compiuto il percorso nel minor tempo. Come si può notare, il meccanismo è lo stesso di Pokemon go (la ricerca di qualcosa di virtuale via app) e anche lo spirito (il gioco), mentre cambiano del tutto il valore e le finalità. E mentre altre città vogliono imitare Mantova, la vitalità e la creatività in campo culturale ispirano Creathon, il primo “hackaton” (festa informatica) dedicato all’innovazione culturale. La fondazione PromoPA, in collaborazione con il MIBACT e Samsung, premierà a Lucca a ottobre 2016 il team che avrà presentato i progetti in cui l’innovazione digitale si dimostra in grado di migliorare la fruizione e il consumo culturale.

Altra importante applicazione della realtà aumentata nella PA – che come visto ha già attratto gli sviluppatori di Google – è quella relativa alla gestione del territorio. Le tecnologie GIS (Geografic Information System) già oggi permettono molti interventi di assistenza in tema di pianificazione territoriale e di emergenza. Ma al di là delle applicazioni riservate ai tecnici, oggi è possibile usarle per aumentare le possibilità di conoscenza del cittadino. Territori, paesaggi, strade, edifici o monumenti potrebbero essere “visti” in modo nuovo: inquadrandoli con lo smartphone sarebbero in grado di rivelare informazioni e immagini, aspetti storici e progetti in cantiere. Un ulteriore beneficio potrebbe essere in termini di partecipazione civica: un cittadino informato in tempo reale, ad esempio, su un progetto urbanistico, può dire la sua con cognizione di causa, chiedendo ulteriori informazioni ma anche offrendo all’amministrazione idee e obiezioni di utilità pubblica. Così come potrebbero essere visualizzati o ascoltati commenti di altri utenti, sul fortunato modello di trip advisor e in più in generale del confronto di qualità sui social, che oggi funge da principale antenna per molte scelte dei consumatori-utenti. Stesso discorso vale per molti documenti pubblici, o comunque di pubblico utilizzo. Nel settore medico già Google progetta applicazioni in campo chirurgico, ma si può anche pensare alla semplice vita quotidiana: su una ricetta medica può essere scritto solo il nome di un farmaco o di un’analisi da svolgere, ma un device mobile potrebbe “leggervi” altre informazioni, da quelle di base (le farmacie di turno, gli ospedali e le cliniche che svolgono quell’analisi, i prezzi, i tempi ecc) a quelle più complesse, relative alla terapia di accompagnamento o alle raccomandazioni sulle abitudini salutari.

In definitiva, per cogliere le potenzialità di interesse generale della “realtà aumentata” basta non fermarsi al paradosso surrealista di voler “vedere ciò che non esiste”, ma adoperare la sua accezione più positiva: l’arricchimento della percezione sensoriale umana. Il trentaduenne anglo-giapponese Keiichi Matsuda, designer, regista e grande sperimentatore, dice che “l’Augmented Reality è una tecnologia centrata sull’uomo, è naturale e intuitiva”. Appunto. Il cittadino che “vive” la sua città e la sua nazione è oggi spesso preda di una percezione sensoriale molto penalizzante: osserva brutture, ascolta frastuono, respira smog… Un’inversione di rotta della comunicazione e dei suoi linguaggi non potrà certo, da sola,  rimuovere queste percezioni, perché nessuna realtà virtuale potrà annullare l’effetto di cassonetti traboccanti di spazzatura… Ma certo può suggerire modi diversi di assorbire la bellezza e la ricchezza artistica, oltre ad aprire nuove opportunità in settori chiave del servizio pubblico come la sanità, l’urbanistica o la gestione del territorio.

(articolo pubblicato sul Sole 24 Ore – Quotidiano Enti Locali e PA del 28/7/2016 dal titolo "Servizi pubblici più efficienti grazie alla «realtà aumentata»")


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